Sono passate circa due settimane dall’inizio della Regular Season NBA e già c’è parecchia carne al fuoco. Eh già…perché dopo un’estate che definire movimentata sembra eufemistico, dopo l’inizio di stagione che si era aperta col botto dello scambio del Barba (al secolo James Harden), è arrivato l’avvio stentato dei Lakers e, (quasi) come un fulmine a ciel sereno, la notizia del licenziamento di Mike Brown dalla panchina gialloviola.
Con un’altra franchigia ci saremmo quantomeno stupiti, ma trattandosi di LAL viene quasi da sorridere. Infatti si rumoreggiava da qualche giorno di malumori ai piani alti della squadra della California, e dopo la quarta sconfitta in appena cinque partite (che seguono un percorso netto in Preseason di ben otto L), quei rumors sono diventati realtà. Secondo alcune fonti l’head coach pare sia stato fatto fuori dalla proprietà losangelina, la famiglia Buss, e che il GM Mitch Kupchak fosse contrario a tale decisione, viste le poche partite giocate da una squadra che ha bisogno di tempo per trovare i giusti automatismi, a fronte degli acquisti estivi (Howard e Nash su tutti).
Subito dopo la cacciata di Brown, la dirigenza si è presa qualche giorno per ponderare il da farsi, affidando per due gare (per altro vinte) la squadra a Bernie Bickerstaff. Intanto i nomi che circolavano erano quelli di Mike D’antoni, ex coach di Nash e ben visto dalla proprietà, Jerry Sloan, storico allenatore di Utah, Mike Dunleavy, già allenatore dei Lakers (finalisti NBA) nei primi anni ’90; ma il nome che più solleticava l’interesse di giocatori, media e soprattutto fan, è certamente quello di Phil Jackson. “Coach Zen” si era lasciato non proprio benissimo con i gialloviola sia da un punto di vista sportivo, spazzato via 0-4 da quei Dallas Mavericks poi campioni, e sia, soprattutto con i Buss. Proprio questo pareva essere il maggiore ostacolo per un suo ritorno sulla panchina più calda d’oltreoceano, ma, vuoi per la situazione della squadra, in piena crisi tecnica, vuoi per la mobilitazione dei tifosi che inneggiavano a coach Jack sulle note di “We want Phil!”, le passate divergenze sembravano essere superate e Jackson diventare la prima opzione. I rumors intanto si facevano sempre più incalzanti e per il coach 11 volte campione NBA sembrava veramente questione di ore per un suo clamoroso ed inaspettato ritorno.
Ma ecco il colpo di scena (e che Lakers sarebbero altrimenti?!?): non se ne fa più nulla! Pare che Phil chiedesse veramente tanto, forse troppo: innanzitutto un contratto faraonico da 15 milioni di dollari, il pieno controllo di staff (Pippen e Brian Shaw, attualmente ai Pacers, ad affiancarlo) e roster, ed infine, e forse è quello che più ha sconcertato la dirigenza, l’impossibilità di seguire la squadra in alcune trasferte. Probabilmente è anche giusto così. Visto che il coach, tra i più vincenti della storia dello sport professionistico USA, adotta da sempre la famosa Triple Post Offense, l’attacco triangolo, che aveva fatto le fortune dei Bulls di Jordan e di due edizioni dei Lakers, ma forse non il sistema più adatto ai giocatori che già lo conoscono (chiedere a Metta…) e non il più facilmente assimilabile dai (tanti) nuovi giocatori, visto che siamo a stagione in corso. Inoltre non aveva probabilmente più la forza fisica e mentale per sostenere ancora una volta uno sforzo pesante come quello di una stagione NBA, anche considerando che i Lakers, soprattutto quelli di questa stagione, dopo il mercato estivo e visto l’avanzare dell’età di molti suoi giocatori, hanno un solo obbiettivo: l’anello!
Quindi i Buss e Kupchak, che nel frattempo avevano mandato avanti i colloqui con gli altri papabili allenatori, prendono la decisione definitiva: panchina affidata a Michael “Mike” Andrew D’antoni. Quindi è ufficiale. Contratto da tre anni da 12 milioni, con opzione per il quarto, e panchina al “Baffo”. D’antoni torna a sedersi a bordocampo dopo essere stato fatto fuori a metà stagione l’anno scorso dai Knicks. Il coach ha formato fino al 2008 un connubio esplosivo con Nash (che sotto la sua guida ha conquistato due titoli di MVP consecutivi) ed è ben voluto anche dalla massima autorità gialloviola, quel Kobe Bryant con cui ha condiviso l’esperienza olimpica con Team USA.
Ora si che le cose si fanno davvero interessanti…
Si perché lo stile di gioco di D’antoni, il famoso “run-and-gun offense” o “seven seconds or less” (prendere un tiro nei primi 7 secondi) che aveva dato grandi risultati a Phoenix (ma pochi successi), è lontano anni luce da quello che aveva dato ai suoi Lakers coach Brown. Si passa da uno stile di gioco basato su una solida difesa e un attacco “ragionato”, a un altro che si concentra quasi totalmente sulla velocità di azione, transizioni, pick ‘n’ roll, e tiri da 3 punti. Inoltre l’ex coach e playmaker dell’Olimpia Milano ama giocare “small ball”, cioè con un big man e 4 esterni, e il roster a disposizione non si sposa benissimo con questo concetto di pallacanestro quando hai Howard e Gasol. E allora cosa fare?
In realtà avere Nash e Howard è probabilmente sempre stato il sogno di D’Antoni, che avrebbe così un pick ‘n’ roll che definire devastante sarebbe riduttivo! Kobe potrebbe allora punire gli adattamenti delle difese avversarie, sfruttando una maggiore libertà d’azione. Si, e Gasol? Bè forse è lui sulla carta il maggiore problema per questa squadra che vuole “correre il campo” (cosa non adattissima alle sue doti) e richiede tiratori da fuori. Quindi non sfruttare uno dei maggiori talenti e cervelli dell’NBA (che va a libro paga per 19 milioni!) sembra quasi un’offesa al gioco…C’è poi da chiedersi se una pallacanestro così veloce e che richiede un elevato numero di possessi sia l’ideale per giocatori che hanno da tempo scollinato oltre i 30 anni, soprattutto se il tuo play tra qualche mese spegnerà 39 candeline…
Forse quello che ne trarrà più grande beneficio sarà Howard, che potrà tornare a vestire i panni di Superman! E probabilmente è questo che ha fatto pendere l’ago della bilancia dalla parte del “Baffo”, perché dovrà poi essere il centro ex Magic a raccogliere l’eredità che lascerà il Mamba e a diventare il leader della squadra della città degli angeli.
Quindi ricapitolando, attacco veloce incentrato sulle scorribande di Nash e sul pick ‘n’ roll con Howard e con Kobe come go-to guy, come “finisseur”. Gasol si dovrà adattare a questo sistema, magari sfruttando di più le sue doti da tiratore, e con World Peace a cercare di sfruttare i metri che gli verranno (sicuramente) concessi sull’arco dei 3 punti e a “farsi il mazzo” in difesa, cosa forse secondaria in questo tipo di sistema (e siamo buoni…)!
Non ci resta quindi che vedere cosa diventeranno questi nuovi Lakers targati D’antoni, dopo un naturale periodo di adattamento, che tra l’altro sarà ancora più travagliato se consideriamo che il coach ha da poco subito un intervento e che quindi non lo vedremo sedersi a bardocampo per qualche partita. Insomma gli ingredienti per divertirsi ci sono tutti, e noi saremo qui per raccontarvi gli ulteriori sviluppi che, state pur certi, non mancheranno.
Francesco Di Cianni
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