Gli anticipi di ieri hanno fornito molti spunti interessanti. Partiamo dall’attesissima Juventus-Napoli, match in bilico ed abbastanza equilibrato fino ad un quarto d’ora dalla fine. Come sappiamo però, le sostituzioni di Alessio – o chi per lui – sono state vincenti mentre Mazzarri ha effettuato il primo cambio soltanto sul 2-0, con la gara già decisa. Il povero Insigne, ritenuto da tutti il giovane più promettente del panorama italiano, è stato costretto a seguire tutta la partita dalla panchina quando i tre attaccanti del Napoli erano completamente fuori fase: l’unica occasione da gol il Napoli l’ha avuta su un calcio di punizione, mentre la manovra, accettabile fino al centrocampo, in fase offensiva è risultata assolutamente sterile. Perché allora non inserire prima un giocoliere che avrebbe potuto creare superiorità numerica contro una difesa bianconera praticamente impeccabile?
A proposito di difesa della Juventus, è proprio lì che è stata vinta la gara. Il Napoli ci ha abituato a creare decine di occasioni da gol, ad effettuare ripartenze fulminanti. Contro il pressing alto e ragionato della Juventus e contro i costanti raddoppi sui vari Cavani, Pandev ed Hamsik, il Napoli ha perso tutta la sua creatività offensiva. Neanche dalle fasce sono giunti i pericoli, con Asamoah che ha annichilito un Maggio ridotto ormai ad ombra di se stesso; Lichsteiner ha faticato un po’ di più contro Zuniga, ma le sfuriate offensive dell’esterno napoletano si contano sulle dita di una mano in quanto il colombiano era costretto a salvaguardare soprattutto la propria difesa. Il colpo di testa vincente di Caceres ha rotto gli schemi – le palle alte sono da sempre il tallone d’Achille del Napoli –, l’invenzione al volo di uno strepitoso Pogba ha fatto il resto. A molti il francese ricorda Vieira: il fisico ed il talento ci sono, adesso sta a lui. Se solo in attacco ci fosse un vero terminale d’attacco, uno che possa concretizzare l’enorme mole di gioco del centrocampo, dove arriverebbe questa Juve?
All’Olimpico si giocava un’altra gara importantissima. La Lazio ha dato lezioni di calcio ad un Milan ormai derelitto. Peccato che tale lezione sia durata solo 60 minuti: quando la concentrazione dei biancocelesti arriverà a 90 minuti allora sarà davvero considerata una grande squadra e gli obiettivi stagionali alla portata di Petkovic si moltiplicheranno. La partita di ieri ha mostrato – come se ce ne fosse ancora bisogno – il talento di Hernanes e l’utilità di Klose, ma vogliamo concentrarci su Candreva, un giocatore che prometteva benissimo prima di perdersi tra panchine e brutte prestazioni. Accolto a Roma tra l’indifferenza generale dopo aver viaggiato per mezza serie A, già nel finale dello scorso campionato aveva dato segnali incoraggianti. Quest’anno con la cura Petkovic è definitivamente esploso, coniugando alla perfezione fase difensiva ed offensiva, creatività e contropiede, destando anche l’attenzione di Prandelli che ha visto in lui l’uomo giusto da inserire dietro le punte dell’Italia. Il suo concorrente diretto per quel posto, Montolivo, ha timbrato il cartellino senza lampi, ma accusare solo lui sarebbe ingiusto nella desolazione offerta dal Milan per due terzi di gara. La buona notizia è il recupero di Pato, sperando che non ricada in qualche altro acciacco, e ancora una volta gli spunti di El Shaarawi. Impalpabile Pazzini, impacciato il centrocampo, fragilissima la difesa, imbarazzante Amelia. Il sussulto d’orgoglio degli ultimi minuti fa ben sperare, ma si è trattato di una reazione di carattere, non certo tecnica o tattica: da questo punto di vista per Allegri – o chi per lui… - c’è molto da lavorare.
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